Intervista a cura di Paola Ferrara

Intervista a cura di Paola Ferrara

Salve, le porgo i più cordiali saluti dei lettori di TrapaniMag, portale d’informazione culturale ed artistica della Provincia di Trapani. Ci dipinga attraverso le parole una tela dalla quale possiamo cogliere il percorso artistico che lo ha visto protagonista.

Mi chiamo Vito Stabile, sono nato a trapani nel 1941. Essendo il più grande di sette figli, fin da piccolino, ho dovuto lavorare con mio padre al nostro panificio, ricordo che, invece di giocare a pallone con i miei coetanei, rubavo il tempo al lavoro per giocare con i carboncini, disegnavo dappertutto, anche per terra, esercitandomi per gioco, finché gli insegnanti delle medie scoprirono questo mio lato artistico.

Allora amavo disegnare le figure di animali e a sette anni avevo già un tratto sicuro nel dipingere. Così, gli insegnanti, consigliarono ai miei genitori di iscrivermi all’accademia delle belle arti, erano gli anni del dopoguerra e questa cosa non era nemmeno pensabile.

Ho potuto staccarmi da quella vita all’età di 30 anni, quando a malincuore ho deciso di lasciare la mia famiglia per recarmi a Milano, sentivo l’esigenza di evadere da quell’ambiente, quell’esercizio che non mi dava niente dal lato umano, dal quale non traevo nessun’ispirazione.

A Milano, mi sono avvicinato all’ambiente artistico di Brera, ho conosciuto molti pittori, anche se non ho mai frequentato l’accademia, assieme a loro ho cominciato ad affinare le mie abilità tecniche ed ho aperto uno studio che ha sede in Via Martesana a Meda (MI). Per sostenermi economicamente lavoravo presso l’ospedale ortopedico della città, grazie ad alcuni medici sono riuscito nel tempo a farmi conoscere come pittore in quell’ambiente, persone squisite che mi hanno aiutato ad partecipare alle prime collettive. Ricordo che i miei quadri, nascevano nella solitudine che caratterizzava la mia vita e le mie giornate, in essi prevalevano le immagini che erano rimaste dentro di me della mia terra, i volti dei miei genitori, e l’eterna contrapposizione tra la voglia di vivere la mia dimensione artistica e le responsabilità di un uomo verso la sua famiglia.

Mi sono iscritto all’accademia “Terzo Millennio”, di Walter Venanzio, al quale devo la partecipazione alla “Biennale di Milano”, manifestazione nella quale ho vinto partecipando con una personale, dedicata al tema dell’ecologia. Argomento, ritengo, di grande interesse sociale ed, umano; niente a che fare con la politica, i miei quadri volevano raccontare lo sviluppo dell’ecologia ambientale ed acustica, osservato dagli occhi delle genti che talvolta lo subivano altre volte lo determinavano.

Sulle mie tele ho rappresentato i volti della povera gente, le loro espressioni di fronte all’evoluzione dell’uomo e della società; la mia è una pittura prettamente figurativa, un neo figurativo, nel quale il paesaggio viene accoppiato alle figure, il messaggio del quadro nasce proprio dalla relazione che si crea tra la figura e il paesaggio in cui è incastonata.

Sono anche un ritrattista, nel tempo ho cercato di affinare questa tecnica , ritraendo molti personaggi dello spettacolo e della politica , ricordo ad esempio Gino Bramieri o, Massimo Ranieri, fatti sempre su commissione. 

Cosa l’ha spinto a lasciare la terra natia per coltivare la sua spinta creativa oltre i confini regionali?

La necessità di evadere, mi sentivo prigioniero, la città non mi dava alcuna possibilità di sfogo, il mio lato artistico non trovava un supporto adeguato per poter emergere, c’erano poche gallerie, poche possibilità per un pittore di esporre i suoi quadri. L’ambiente, ma anche il cittadino è troppo chiuso, preso dalla materialità, non c’è nessuna intenzione di creare sbocchi nel campo dell’arte, mancavano e mancano ancora oggi i personaggi che s’interessino a crearli.

Allora come oggi, viviamo la mancanza, nella nostra provincia, d’opportunità per sviluppare le potenzialità artistiche esistenti. Ha mai pensato sulla base della sua esperienza di realizzare in Sicilia o a Trapani simili opportunità?
Un’eventuale accademia, creata magari da lei per i giovani talenti esistenti?
 

Dal nord al sud, non ci si azzarda, ogni tanto riunirci e tornare in questi luoghi per far capire che esistiamo si, ma rinchiuderci qui no! Qui ritorniamo per godere della nostra luce, dell’aria, del paesaggio, per rinvigorire i polmoni e poi andare via; qui ritroviamo la nostra ispirazione, sarebbe utopistico a tutt’oggi pensare diversamente. Mancano i personaggi giusti; la politica dovrebbe aprire le porte a noi pittori, offrendoci la possibilità di esporre.

Tutti i pittori che sono andati via lo hanno fatto perché mancano le infrastrutture adatte e perché le volontà dell’uomo politico non sono indirizzate alla creazione di momenti d’approfondimento culturale, preferendo concentrarsi sullo sviluppo dell’economia imprenditoriale del paese.

Calore della mia terra Colore delle mie tele; in che modo queste parole ci raccontano la sua pittura?

Un Siciliano porta dentro se il calore della sua terra. I colori caldi, il rosso, l’arancione, io porto questi colori, come tutti gli artisti del meridione, vedi Guttuso. L’uso di questi colori, ci racconta la nostra sicilianità, fatta di paesaggi, della nostra gente, delle emozioni che nascono dai ricordi e, dalle realtà che abbiamo vissuto.

Un quadro nasce da un’emozione per dare emozioni a chi lo guarda, un quadro quindi è un emozione.

Hanno scritto di lei:
– La pittura arma con cui debellare le brutalità… dell’uomo moderno coinvolto nell’ingranaggio di un mastodontico macchinario che macina le coscienze (Cristina Colzani)

Può spiegarci meglio?

L’evoluzione dell’uomo, della tecnologia, dimentica il lato umano, valorizzando solo quello meccanico , nasce così questa freddezza dell’uomo e della macchina creata da esso, che fa dell’evoluzione un mezzo che distrugge, forse inconsapevolmente, disumanizza l’uomo stesso, distrugge il suo lato umano. Bisogna lasciare spazio alla natura e non il contrario sradicando un albero per far nascere una città fredda; questo è uno dei temi principali dei mie quadri. Immaginate un quadro dove si ergono tra i muri di una città due alberi, cosa rimarrebbe se io li cancellassi? Solo un muro di cemento. Questa è la freddezza umana.

La sua pittura trae alimento dalla condizione di alienazione in cui è caduto l’uomo moderno di fronte al quale si affacciano mostri della coscienza, immagini disumanizzate, problemi di freudiana solitudine. (Rolando Certa “La Procellaria”)

Le sue tele raccontano quello che i suoi occhi vedono o quello che il suo animo percepisce?

Traduco quello che vedo lasciandomi dettare dal mio animo, facendomi trasportare da quello che un’immagine mi detta.

Se l’uomo con la sua tecnologia vincente imbratterà la magnifica tela della natura, allora ne uscirà perdente quanto le meraviglie che pietrifica con il suo agire sconsiderato… Cosa significa, quindi, per lei essere impegnato nel mondo dell’arte e della cultura? Qual è il ruolo dell’artista nella società, se di ruolo si può parlare?

Se il pennello fosse un arma, spazzerei via tutta quella gente che sta cercando di distruggere il nostro paesaggio, non mi piace vedere copertoni in mezzo a un prato perché è la parte negativa dell’uomo; distruggere i luoghi che abitiamo, è per me come dare uno schiaffo a se stessi.

I miei sono quadri di denuncia dell’uomo moderno, che cerca di distruggere facendo male a se stesso.

Questo è il ruolo dell’artista, almeno nel mio campo. L’arte è un mezzo di denuncia, cerco di dire alla gente quello che accade, e di aprire gli occhi su ciò che li circonda.

Lasci un messaggio ai nostri lettori 

Ai pittori dico di non lasciarsi influenzare dalla pittura cosiddetta moderna o astratta, perché l’uomo d’oggi ha bisogno di capire, vuole un messaggio dalla pittura. Per continuare ad apprezzare l’arte bisogna che essa dia un messaggio comprensibile, fare cultura significa anche renderla fruibile il più possibile a tutti.

Dipingere significa saper leggere quello che si ha dentro senza ispirarsi necessariamente a generi o correnti pittoriche, sicuramente apprezzabili, ma non aderenti alla propria individualità.